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La frase di Nicola

Ottobre, un mese senza personalità. Roba che vorrei sedermi sul divano e aspettare che passi. Novembre è già più imponente. Già il suono: Novembre. Comunque, vengo da due settimane di duro lavoro, stamattina spremevo un'arancia e quando la buttavo nel secchio premendo il pedalino pensavo che il mio cervello non deve avere un aspetto parecchio diverso al momento.
Ma veniamo a noi. Tutti i periodi hanno delle ricorrenze, in ottobre per me ricorre la Frase di Nicola.
Costui era un amico di mio padre. Se ne andava in giro per il paese con le mani dietro la schiena, gli occhiali in spessa montatura nera, la pipa e un impermeabile a cui d'inverno aggiungeva l'imbottitura. Parlava poco, quasi niente. Non ricordo mai che mio padre gli facesse o ricevesse da lui una telefonata, sarebbe stato inutile, un gesto muto nonché costoso. Si incontravano per strada, sul lavoro, al bar. Dietro quel silenzio, annidata sotto quella profonda calma, mio padre sospettava la presenza di un'intelligenza mostruosa, di una saggezza luminosa, le acque chete e profonde insomma. Qualche volta a pranzo, preso dai suoi miseri interrogativi esistenziali legati alla quotidianità si faceva sfuggire un: sono cose che a Nicola farebbero ridere. In me, di riflesso, cresceva il mito di Nicola. Una creatura superiore, di passaggio casuale tra le fesse cose degli uomini. Leggevo Topolino a tavola, raschiavo la minestra e tra un intervento del commissario Basettoni e una malefatta di Pietro Gambadilegno pensavo anch'io: son cose che a Nicola gli farebbero schifo.
Quel pomeriggio dei primi anni settanta, ero per terra nel corridoio di casa nel pieno dei miei quattro anni. Quell'età che non sapevi mai se abbassare il mignolo o il pollice. Giocavo al flipperone. Un aggeggio che si poggiava in terra, inclinato, e con dentro delle palle di piombo che picchiavano contro dei campanacci venendo giù dritte che te gli davi di percussore per rimandarle su. Il vetro non c'era, la palla di piombo poteva in qualsiasi momento essere prelevata per divenire un'arma mortale nella mano di un ragazzino impazzito. Suonarono alla porta, mi alzai e corsi quei due-trecento metri di quei corridoi di quelle vecchie case. I capelli alla Ringo Starr mi volavano all'indietro. Aprii, era mio padre.
Già il fatto che non aveva usato le chiavi la diceva lunga sullo stato mentale. Era pensoso. Un po' come Homer quando ascolta il cervello. Lo salutai e tornai al flipperone. Dopo pochi minuti sarei rimasto esposto alla Frase di Nicola, in maniera inconsapevole e passiva, tipo quelli che abitavano vicino Chernobyl e non sapevano una sega di energia nucleare. Nella cucina la voce rauca e preoccupata di mio padre stava ripetendo a mia madre un pensiero che il suo amico gli aveva detto davanti al bar. Un vero evento. Qualcuno nei pressi era stato persino sorpreso a prendere nota su un'agendina.
La frase era in dialetto, e faceva così: Amiche mie, ma che simm, facimm semb e' stessi ccose, ci aizamm a matin, iamm a faticà, magnamm, guardamm e' nutizie e ci iamm a cuccà. Po' nu bell iuorn, crepamm. Simm gent ra' poc. Ngopp a tomb scriviteme, Nicola mo sta 'ccà, ma che c'è cambat a 'ffà? La traduco per chi non sa le lingue, ma è come cantare in italiano My Way di Sinatra. (Amico mio, che siamo, facciamo sempre le stesse cose, ci alziamo al mattino, andiamo al lavoro, mangiamo, guardiamo le notizie e andiamo a letto. Poi un bel giorno, crepiamo. Siamo gente da poco. Sulla tomba scrivetemi, Nicola adesso sta qua, ma che ha campato a fare?)

Ecco, da quel giorno là, ogni ottobre io vengo visitato dalla Frase di Nicola. Risuona durante le passeggiate col cane, attraverso la voce di mio padre che quel giorno la interpretò teatralmente con un certo allarme. Nicola lo aveva messo al corrente di qualcosa a cui lui non aveva mai pensato in quaranta anni, il senso della vita. Dopo cinque minuti di riflessione comunque già non ci pensava più, aveva trovato il senso della vita nei maccheroni che gli aveva cucinato mia madre e vaffanculo le frasi difficili di Nicola, che dopo pochi mesi poi morì davvero.

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