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Grazie a te

E dopo l'invasione degli assolutamentesì e degli assolutamentenò gustiamoci questa furiosa pestilenza fatta di grazzieatté, di grazzieavvòi e di grazziealléi (e graziealcazzo no?). Piangiamo sommessi la consolidata scomparsa del tanto amato prego, la sua estinzione fulminante dopo onorati anni di servizio al paese parlante.
Il grazieatté è così dilagante nelle forme colloquiali che dubito seriamente possa essere arginato. Il bello è quando i babbéi lo sputano fuori automaticamente ma in contesti del tutto inadeguati, alcuni li vedi che se ne accorgono e vorrebbero rimangiarselo ma oramai è tardi, l'hanno detto.
Esempio: acquazzone, aspetto il bus, passa il mio vicino di casa con l'automobile e mi dà un santo passaggio di quattrocento metri fino a casa. Scendo veloce e gli dico: Grazie sai! E lui: Grazieatté! Chiudo lo sportello e penso ma grazie a me cosa?
E' in questi casi che capisci come la gente, abbandonato saltuariamente il prego per lanciarsi qua e là nei grazieatté, adesso non riesca più a recuperarlo nelle situazioni in cui verrebbe invece necessario. Il risultato è che tutti ci stiamo sul cazzo l'un l'altro più di prima, ma facciamo a gara per ringraziarci. A nessuno pare più tornare in mente che quando non avviene uno scambio palese o sottaciuto di favori, di riguardi o prestazioni, è inutile nonché ridicola la risposta del grazieatté.
Tipo: il cantante canta, il presentatore lo congeda, grazie>grazieatté. Liscio, scambio sottaciuto, tu hai cantato e intrattenuto e io ti ho dato visibilità. Tipo: io offro il caffé ad un amico per chiedergli un parere, lui grazie, io grazieatté. Regolare, io ti ho pagato il caffé ma entrambi sappiamo e taciamo il fatto che tu ti sei fermato e hai ascoltato le mie argomentazioni. Ci sta. Etc.
Ma se io arrivo al portone e trovo Cavazza ad aspettare l'ascensore, entriamo, saliamo zitti, lui fa la sosta di cortesia al mio piano per poi proseguire, e io uscendo lo saluto e gli sparo il grazie, lui non può rifilarmi quel maledetto grazieatté mentre le porta si richiude sul suo sorriso. Non può, il coglione, perché grazieatté non c'entra una beata mazza. Ma grazie a me cosa? Prego dovevi dire, prego, dannato. Oppure taci, no? Avevamo una lingua italiana, avevamo. In metropolitana guardo il tizio seduto che scorge la vecchiazza di turno e le ammolla il posto per cavalleria. La donna poggia le terga e ringrazia ad alta voce. E lui ovviamente: graziealléi. Sorrisetto. Ma grazie a lei cosa? Grazie a lei te la sei presa nel culo e mo' ti fai il tratto in piedi? Prego dovevi dire, ma anche: di nulla, ma anche: si figuri, ma anche: dovere signora, ma anche: ma le pare. Tutte forme scomparse. E continuiamo così, imbarbariamoci. E grazie a loro.

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