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Uomini d'amore e uomini di libertà

Il formidabile De Crescenzo già nel 1984 parlava del popolo delle libertà. Qui dove abito adesso, ho due vicini: un vicino d'amore e un vicino di libertà. Il loro outing bellavistiano fu immediato, la notte stessa che arrivai. Si perché il trasoloco avvenne di notte, lo scorso tredici di Agosto. Mi aiutavano due facchini prezzolati, entrambi d'amore. Uno era muto o con poche cose da dire, l'altro, particolarmente malridotto, era chiacchierone, basso, curvo, calvo, con gambe storte e schiena dolorante. Mi raccontò sotto l'affanno dello sforzo tutta la sua disgraziata biografia. In due ore saremo saliti e scesi in ascensore almeno quaranta volte e lui, asciugandosi la fronte con uno straccio, snocciolava sciagure una dopo l'altra. Un'esistenza di merda tra Svizzera e Italia e se la ricordava tutta quanta. Circa verso l'una e mezza di notte, i due mi portarono su il frigo, per le scale, quattro piani. Era il pezzo grosso, quello che fa più casino. Io da basso contavo gli urti ad ogni piano, fino al quarto, poi il tonfo dell'appoggio e il silenzio.
Il facchino silenzioso scese, l'altro, lo sciagurato, rimase sopra.
Seguì un vociare improvviso da lassù, una voce dominava sulle altre, era un baritonale incazzato che stava aggredendo il facchino d'amore. Andò avanti per tre-quattro minuti. L'incazzato gliele disse tutte. Qua e là si distingueva un: Ie dimane aggia ì a faticà! M'avit scassat o' cazz cu tutt 'stu casin! Poi la porta sbattuta da copione e tutti zitti.
Il facchino d'amore scese mesto e mi raccontò tutto. Mi disse che il vicino di libertà, quello di sotto, era salito e gli aveva fatto il culo a pezzettoni. Che incazzato come una iena aveva maledetto il povero facchino e i suoi mandanti per almeno tre generazioni di ascendenti e discendenti. Poi in chiusura lo aveva inviato affanculo senza francobollo e aveva sbattuto la porta. Cioé in due minuti aveva fatto più casino lui di tutto quanto il trasloco. Il prestatore di mano d'opera aveva subìto la cazziata per intero a capo basso, annotandosi golosamente l'episodio come una nuova sciagura da raccontare al prossimo giro.
Pazienza, c'era comunque da aspettarselo a quell'ora di notte. Li pagai e li salutai, poi presi delle grucce in ferro battuto rimaste da portare su e mi avviai verso il mio quarto piano. Uscii dall'ascensore in punta di piedi temendo un nuovo attacco del furioso vicino di libertà sottostante. La luce sul pianerottolo si spense e nell'aprire la dannata porta mi caddero tutte le grucce in terra. Sono quei rumori che il cervello ti riprone in replay al rallenty per un paio di volte. Un vero coglione. Brivido. Attendevo rassegnato come minimo un colpo d'ascia nella schiena, ma accadde altro. Si aprì lentamente l'altra porta del mio pianerottolo e apparve sulla soglia la sagoma di un uomo attempato dentro un pigiama a strisce celesti. Aveva gli occhi quasi chiusi dal sonno e la bocca incartata dentro un pizzetto grigio. Non ebbi il coraggio di salutarlo, lo guardavo con le dita nelle grucce aspettando la meritata fine. Lui fece un passo avanti e sollevando il braccio verso di me disse: Piacere, sono Nicola, serve una mano?
E quello era lui, il vicino d'amore.

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