Una notte d'estate degli anni settanta si tornava dal mare. Ero seduto dietro, solo, in una splendida Bianchina Lancia dai sedili azzurri e gommosi. Era un'emozione stare lì dentro al buio, guardare quelle mani sapienti sul volante e quel piede di donna sull'acceleratore che ci lanciava a 50 all'ora per una provinciale ruvida a tagliare le campagne. Mio zio, un omone tipo Aldo Fabrizi, pilota di guerra, dopo gli aerei non aveva più voluto guidare nulla. Lasciava pilotare quella meraviglia della tecnica a sua moglie, mia zia, impartendole continuamente i comandi. Accelera, decelera, adagio, dai gas, metti la freccia, scala, fatti sorpassare, sorpassa, tieniti a destra, suona, lampeggia, metti i fari corti, metti i fari lunghi ... un cacacazzo da brivido, che i tedeschi in guerra sparavano solo a lui. Spesso pensavo che se mio zio si fosse ferito o fosse tornato in anticipo dal fronte, la guerra sarebbe finita prima. S'era stati sul lido fino a dopo mezzanotte, una ...
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