In giro per la provincia di Reggio Emilia, capito a Scandiano. Parcheggio e scendo dall'auto, c'è una signora che passa uno straccio sui vetri di una finestra al secondo piano. Metto gli occhiali da sole, cammino, qualcosa non va. Mi volto a riguardare la signora lassù con lo straccio. Lo muove piano, troppo piano. Quel braccio è più lento del mio tergicristalli a velocità uno. E' la velocità della pallina di Pong, primo livello. Basta con 'ste seghe mentali, proseguo. Un vecchio con le bretelle e i calzoni corti mi incrocia in bici. Sono le 4, il sole fa il suo sporco lavoro, il passo veloce mi imperla la fronte di sudore. Qualcosa non va. Mi volto a riguardare il vecchio sulla bici. Pedala o non pedala? Pedala così piano che devo osservarlo a lungo per distinguere il moto delle cosce, come la lancetta dei minuti degli orologi. Come cazzo fa a non cadere? Perché non pedala come pedalano a Bologna? Qualcosa succede alla mia ordinaria percezione della vita.
Mi fermo in un bar della piazza, aspetto al banco che qualcuno avverta la mia presenza. Di fianco a me un ragazzetto moro, capello lungo taglio-pari lucacarbonifarfallina. Tiene una tazzina per l'orecchio e se la accosta a lenti intervalli regolari alle labbra. Odore di caffé. Sorseggia e guarda ipnotizzato la sua immagine riflessa e distorta negli acciai del retro banco. Nell'aria galleggia un vecchio tango di Gardel, graffiato. Appare il barman, non si scusa per l'assenza e mi sorride. Gli chiedo una lemonsoda con ghiaccio. Me la prepara, la lascia sul banco e risparisce, va a cambiare il tango. Non torna più. Il robot col taglio pari continua il suo moto. Tintinno il mio ghiaccio e guardo fuori. Una tipa brutta parla al telefonino e fuma seduta con i piedi stesi sulla sedia di fronte. Alzo lo sguardo, il campanile e il cielo azzurro, un piccione vola pianissimo senza cadere. Riguardo la tipa, qualcosa non va. E' al telefonino, ma non parla, ascolta. Da quando sono qui non ho mai sentito la sua voce. E' lì sorridente col telefonino all'orecchio. Ha sempre ascoltato e continua ad ascoltare. Immagino il suo interlocutore, un'amica di città, magari di Bologna.
Lascio le monete sul banco ed esco, arrivo nel centro della piazza, un altro vecchio si passa un fazzoletto sulla crapa e sputa in terra. Spu-uu-ta. Adesso sono sicuro, anche lo sputo impiega più tempo a raggiungere il suolo checché ne dica Galileo, e in lontananza il tipo è ancora impalato con il suo caffé e la donna brutta è sempre in muto ascolto e il piccione è quasi fermo nell'aria e il ciclista pedala come un bradipo e lo straccio della signora non finirà mai di pulire la fottuta finestra. Stop. Io colibrì, Scandiano gabbiano. Io vibrazione, Scandiano palpito. Panchina, ombra, respiro. Chiudo gli occhi. Camera iperbarica mentale, giù di livello. Giù ancora. Sintonìa fine. Addio metropoli, addio cose veloci. Scendo e atterro piano nella slow-life. Riapro gli occhi. Nella panchina di fianco, tre tipi zitti guardano un gatto passare. Mi alzo, faccio per andare. Mi risiedo.
Mi fermo in un bar della piazza, aspetto al banco che qualcuno avverta la mia presenza. Di fianco a me un ragazzetto moro, capello lungo taglio-pari lucacarbonifarfallina. Tiene una tazzina per l'orecchio e se la accosta a lenti intervalli regolari alle labbra. Odore di caffé. Sorseggia e guarda ipnotizzato la sua immagine riflessa e distorta negli acciai del retro banco. Nell'aria galleggia un vecchio tango di Gardel, graffiato. Appare il barman, non si scusa per l'assenza e mi sorride. Gli chiedo una lemonsoda con ghiaccio. Me la prepara, la lascia sul banco e risparisce, va a cambiare il tango. Non torna più. Il robot col taglio pari continua il suo moto. Tintinno il mio ghiaccio e guardo fuori. Una tipa brutta parla al telefonino e fuma seduta con i piedi stesi sulla sedia di fronte. Alzo lo sguardo, il campanile e il cielo azzurro, un piccione vola pianissimo senza cadere. Riguardo la tipa, qualcosa non va. E' al telefonino, ma non parla, ascolta. Da quando sono qui non ho mai sentito la sua voce. E' lì sorridente col telefonino all'orecchio. Ha sempre ascoltato e continua ad ascoltare. Immagino il suo interlocutore, un'amica di città, magari di Bologna.
Lascio le monete sul banco ed esco, arrivo nel centro della piazza, un altro vecchio si passa un fazzoletto sulla crapa e sputa in terra. Spu-uu-ta. Adesso sono sicuro, anche lo sputo impiega più tempo a raggiungere il suolo checché ne dica Galileo, e in lontananza il tipo è ancora impalato con il suo caffé e la donna brutta è sempre in muto ascolto e il piccione è quasi fermo nell'aria e il ciclista pedala come un bradipo e lo straccio della signora non finirà mai di pulire la fottuta finestra. Stop. Io colibrì, Scandiano gabbiano. Io vibrazione, Scandiano palpito. Panchina, ombra, respiro. Chiudo gli occhi. Camera iperbarica mentale, giù di livello. Giù ancora. Sintonìa fine. Addio metropoli, addio cose veloci. Scendo e atterro piano nella slow-life. Riapro gli occhi. Nella panchina di fianco, tre tipi zitti guardano un gatto passare. Mi alzo, faccio per andare. Mi risiedo.