
Palinuro, domenica. Rimpatriata con un paio di vecchi amici. Come nel Sorpasso di Risi si è travolti dalle decisioni di quello più matto e coglione. Scelta del percorso, del pernottamento, tutto quanto. Ma è bello così, come diceva l'agente Smith in Matrix, a noi umani ci piace patire.
Il parcheggiatore è allegro e gesticolante, una forma di demenza dovuta al progressivo arrostimento del cervello, cotto dal sole dentro il cranio come una patata dentro il cartoccio. Il veicolo-trabiccolo del mio amico si arresta esausto nelle polveri. Usciamo piano, sofferenti e sudaticci, la macchina vacca partoriente, noi vitelli espulsi in una placenta di sudore. L'uomo ci rivela che quello non è solo un parcheggio, ma anche un impegno ad acquistare una discesa a mare nello stabilimento di fronte, 'si no iatevenne chiù annanz, e cercatv nu parchegg sul parchegg' (altrimenti proseguite e cercate un parcheggio che sia solo parcheggio). Va bene così, l'assenza di forze mi impedisce di colpirlo con un calcio rotante alla Walker Texas Ranger.
Attraversiamo la strada e un ragazzino di poche parole ci separa da 12 euro accompagnandoci ai lettini. Quarta fila. Come al cinema ci sinceriamo che si veda un po' di mare sporgendoci a destra e a sinistra. Gli ombrelloni, come i posti negli aerei, col passare degli anni diventano sempre più vicini. Mi spaparanzo e mi guardo intorno, il colore delle cose sparisce, sono in un film in bianco e nero, il filmetto anni sessanta con ambientazione spiaggia. Sfuma il tormentone di Roy Paci e s'alza piano un 'guardacomedondolo', ci siamo. Il cartello recita: la spiaggia di Peppe. La signora di fianco gonfia il suo costume intero con un corpo-pallone grasso e annerito in ogni parte esposta, con la zampa destra attinge albicocche snocciolate da un secchiello e se le porta alla bocca con movimento regolare, una masticazione infinita disturbata solo a tratti da qualche rutto incontrollabile. Dall'altra parte tre ragazzette indigene ed ossute ridacchiano distese guardando foto su un telefonino e ciucciando fallici calippi. Nella fila davanti, fortunatamente, eccola. L'immancabile troione con un centinaio di occhi attaccati sul culo e sulle tette. Un filo le separa le chiappe abbrustolite, un tatuaggio basso-renale mostra un tribale con delle scritte che non comprendo. Sarà un rompicapo per intrattenere i vari montoni all'opera, durante le 'incontabili' pecore serali. Gioca col suo gorilla stanco, gli strizza il pacco, sghignazza e gli lecca le orecchie, il tipo non reagisce, è sotto carica per la notte. Reagiscono invece miriadi di ragazzetti buzzurri e guardoni che misteriosamente son tutti girati pancia sotto a guardarle le pere.
Basta, vado in acqua. Tuffo con spruzzo, subito fondo, mortacci mi tocca sgambettare. Il formicaio visto dal mare è angosciante, una barriera di carne da cui si proviene e in cui bisognerà rientrare. Una diffusa deformità, poca figa. M'abbandono al galleggiamento supino. Urla improvvise. Un tipo con la barba bianca viene trascinato fuori da una donna brutta. Forse collasso. Lo adagiano sulla riva come un delfino spiaggiato. Il capannello è immediato, una vecchia urla e ne piange la morte prematura. Un marocchino lascia cappelli e palloni e dice di essere un medico, c'è uno che non si fida. Il bagnino arriva con una valigetta blu dalla scritta inquietante "Emergency Resuscitator". In effetti la barba e i capelli lunghi ce li ha. Ognuno dice la sua, lo girano e lo rigirano sulla sabbia come un'alice impanata e fritta fino all'arrivo di Ursus.
Il parcheggiatore è allegro e gesticolante, una forma di demenza dovuta al progressivo arrostimento del cervello, cotto dal sole dentro il cranio come una patata dentro il cartoccio. Il veicolo-trabiccolo del mio amico si arresta esausto nelle polveri. Usciamo piano, sofferenti e sudaticci, la macchina vacca partoriente, noi vitelli espulsi in una placenta di sudore. L'uomo ci rivela che quello non è solo un parcheggio, ma anche un impegno ad acquistare una discesa a mare nello stabilimento di fronte, 'si no iatevenne chiù annanz, e cercatv nu parchegg sul parchegg' (altrimenti proseguite e cercate un parcheggio che sia solo parcheggio). Va bene così, l'assenza di forze mi impedisce di colpirlo con un calcio rotante alla Walker Texas Ranger.
Attraversiamo la strada e un ragazzino di poche parole ci separa da 12 euro accompagnandoci ai lettini. Quarta fila. Come al cinema ci sinceriamo che si veda un po' di mare sporgendoci a destra e a sinistra. Gli ombrelloni, come i posti negli aerei, col passare degli anni diventano sempre più vicini. Mi spaparanzo e mi guardo intorno, il colore delle cose sparisce, sono in un film in bianco e nero, il filmetto anni sessanta con ambientazione spiaggia. Sfuma il tormentone di Roy Paci e s'alza piano un 'guardacomedondolo', ci siamo. Il cartello recita: la spiaggia di Peppe. La signora di fianco gonfia il suo costume intero con un corpo-pallone grasso e annerito in ogni parte esposta, con la zampa destra attinge albicocche snocciolate da un secchiello e se le porta alla bocca con movimento regolare, una masticazione infinita disturbata solo a tratti da qualche rutto incontrollabile. Dall'altra parte tre ragazzette indigene ed ossute ridacchiano distese guardando foto su un telefonino e ciucciando fallici calippi. Nella fila davanti, fortunatamente, eccola. L'immancabile troione con un centinaio di occhi attaccati sul culo e sulle tette. Un filo le separa le chiappe abbrustolite, un tatuaggio basso-renale mostra un tribale con delle scritte che non comprendo. Sarà un rompicapo per intrattenere i vari montoni all'opera, durante le 'incontabili' pecore serali. Gioca col suo gorilla stanco, gli strizza il pacco, sghignazza e gli lecca le orecchie, il tipo non reagisce, è sotto carica per la notte. Reagiscono invece miriadi di ragazzetti buzzurri e guardoni che misteriosamente son tutti girati pancia sotto a guardarle le pere.
Basta, vado in acqua. Tuffo con spruzzo, subito fondo, mortacci mi tocca sgambettare. Il formicaio visto dal mare è angosciante, una barriera di carne da cui si proviene e in cui bisognerà rientrare. Una diffusa deformità, poca figa. M'abbandono al galleggiamento supino. Urla improvvise. Un tipo con la barba bianca viene trascinato fuori da una donna brutta. Forse collasso. Lo adagiano sulla riva come un delfino spiaggiato. Il capannello è immediato, una vecchia urla e ne piange la morte prematura. Un marocchino lascia cappelli e palloni e dice di essere un medico, c'è uno che non si fida. Il bagnino arriva con una valigetta blu dalla scritta inquietante "Emergency Resuscitator". In effetti la barba e i capelli lunghi ce li ha. Ognuno dice la sua, lo girano e lo rigirano sulla sabbia come un'alice impanata e fritta fino all'arrivo di Ursus.
Ursus incazzato è un aborigeno enorme, 'Ma nzomm mannagg a maronn o vulimm aizà a lloc nderr a stu cristian o no?' (ma lo alziamo quest'uomo da terra o no?). Lo afferra come si fa con uno straccio e lo poggia su un lettino rovente, come da ricetta. Dopo poco arriva l'ambulanza con i paramedici, gli infilano una barella flessibile sotto il culo e se lo portano via a sirene spiegate. Commenti vari, argomento del giorno. Mi immergo, basta rotture di coglioni, voglio relax. Riemergo e guardo il carnaio. Di nuovo giù e di nuovo su, una serie di tentativi per cambiare scenario all'emersione. Rumore-silenzio, rumore-silenzio. Mi volto verso l'orizzonte, Battiato, viaviavia da queste spondee, portami lontano sulle ondee.