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Scarpe

Dopo più di tre mesi di ciabatte e infradito oggi ho rimesso le scarpe. Per l'esattezza anche i calzini. Quelli piccoli invisibili che vanno nelle scarpe da ginnastica. Con 'sti piedi è sempre la stessa storia. Mi fanno una pena ogni volta. Già la sera prima li vedo venire a letto un po' risentiti. Già sanno cosa li aspetta il giorno dopo. Scompaiono sotto il lenzuolino senza manco guardarmi in faccia. Stamane dopo il bip della sveglia un po' mi sono sentito stronzo a scoprirli e tirarli giù. Il destro, più abbronzato e vissuto del sinistro, mi guardava con quell'aria da condannato a morte.
Mentre lo infilavo nel minicalzino ha avuto un momento di debolezza ed ha allungato l'alluce opponendosi all'operazione. Poi con aria rassegnata, da piede, si è lasciato calare nell'involucro, come un cadavere di CSI nel sacco del Coroner. Il sinistro, pratico e maturo, non ha battuto ciglio. Giù liscio e veloce, come i fucilati che non vogliono benda o estreme unzioni. Avanti fallo se lo devi fare, bastardo. Me li sono osservati per un po'. Imbavagliati, ciechi, isolati, ridicoli. Poi come se non bastasse li ho guardati affondare nelle scarpe. Giù sotto un altro centimetro di maledetto fodero, spinti, soffocati, compressi. All'atto perverso di allacciare ho pensato agli assistenti di Houdini, che gli chiudevano le catene, gli sigillavano i lucchetti, mostravano al pubblico l'accuratezza delle costrizioni. Migliore la costrizione, maggiore la gloria quando il grande si liberava. E anch'io dopo tredici ore li ho liberati. Ho ributtato in mare il pesce, ho tolto il cappuccio al falcone. Dopo una giornata di prigionia e deambulazione eccoli qua, i miei piedi liberi e felici sul bracciolo della poltrona a recuperare la loro apnea e a procurarla ad altri.

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