A Casalecchio giù dalle parti del fiume c'è quel nuovo ponte bianco con gli assi in legno e i tiranti. Che ci cammini sopra e lo senti flettere. Giù in basso c'è il Reno che passa lento e pulito in mezzo a papere grigie e grandi sassi bianchi. Faccio una foto a un vecchio pescatore, fermo con gli stivaloni dentro l'acqua, canna e rete, aspetta la presa sotto il sole di settembre. Scendendo, da una parte del ponte c'è un vecchio circolo ricreativo. Messner va in cima alla Levissima, Gere va in cima al Tibet, Chatwin in Patagonia, a me basta venire qua.
In questo rettangolo di circa 200 metri di lunghezza coesistono e vibrano magicamente dimensioni belle e diverse. Si parte con un mini parco giochi per piccolissimi, scivoli e pincopanchi con marmocchi guizzanti sotto l'occhio dei genitori. Di seguito un quadrato adibito a pista da ballo, il vero epicentro energetico. Decine di deliziose coppie di anziani che fluttuano sulle note dell'orchestrina annidata sotto il gazebo. Ballano con sapienza, si guardano e sorridono, altri lavorano seri di piede e s'accusano con le sopracciglia di sbagliare il passo. Tutt'intorno seggiole con signore che si riposano, che commentano, che aspettano d'essere invitate da cavalieri instancabili.
A seguire, un bel playground con adolescenti che saltano sotto il canestro. Palleggi, schiacciate, asciugamani sulla fronte, azioni a tempo di Casadei, contrasti col casquet.
In fondo e sui lati, tavolini e giocatori di carte, occhi che lanciano segnali, gesti che chiamano l'asso, aliti di sangiovese, sigarette premute nei posacenere Tassoni. E bici ovunque, poggiate e in movimento. Le bici vecchie, con i cestini, coi fili colorati sulle mezze ruote. Padroni con cani miti dalle lingue di fuori. Studenti stesi sull'erba. Faccio un'altra foto a un tipo allegro sulla settantina che a sua volta fa una foto alla moglie con una di quelle macchinette a rullino che si guardavano dall'alto, la donna è in posa con i capelli raccolti e con la faccia presa in prestito da un film di Pupi Avati.
Osservando tutto questo mi sento bene. Penso al tenente Dunbar quando parlava del popolo Sioux: And the only word that came to mind was.. harmony (l'unica parola cui mi facevano pensare era Armonia).
In questo rettangolo di circa 200 metri di lunghezza coesistono e vibrano magicamente dimensioni belle e diverse. Si parte con un mini parco giochi per piccolissimi, scivoli e pincopanchi con marmocchi guizzanti sotto l'occhio dei genitori. Di seguito un quadrato adibito a pista da ballo, il vero epicentro energetico. Decine di deliziose coppie di anziani che fluttuano sulle note dell'orchestrina annidata sotto il gazebo. Ballano con sapienza, si guardano e sorridono, altri lavorano seri di piede e s'accusano con le sopracciglia di sbagliare il passo. Tutt'intorno seggiole con signore che si riposano, che commentano, che aspettano d'essere invitate da cavalieri instancabili.
A seguire, un bel playground con adolescenti che saltano sotto il canestro. Palleggi, schiacciate, asciugamani sulla fronte, azioni a tempo di Casadei, contrasti col casquet.
In fondo e sui lati, tavolini e giocatori di carte, occhi che lanciano segnali, gesti che chiamano l'asso, aliti di sangiovese, sigarette premute nei posacenere Tassoni. E bici ovunque, poggiate e in movimento. Le bici vecchie, con i cestini, coi fili colorati sulle mezze ruote. Padroni con cani miti dalle lingue di fuori. Studenti stesi sull'erba. Faccio un'altra foto a un tipo allegro sulla settantina che a sua volta fa una foto alla moglie con una di quelle macchinette a rullino che si guardavano dall'alto, la donna è in posa con i capelli raccolti e con la faccia presa in prestito da un film di Pupi Avati.
Osservando tutto questo mi sento bene. Penso al tenente Dunbar quando parlava del popolo Sioux: And the only word that came to mind was.. harmony (l'unica parola cui mi facevano pensare era Armonia).