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Cosa avrebbe fatto il Dalai Lama? L'ingorgo

Lo so che il Dalai Lama ha studiato per decenni una vagonata di testi antichi, e da piccolo gli hanno fatto il mazzo con ore ininterrotte di memorizzazione, mantra, esercizi per la mente, per la dialettica, per il corpo, tutto. Una cultura tale che se il suo cervello fosse un container ci potresti infilare una quindicina di ratzingers, tre umbertiechi, un paio di poppers e un centinaio di pieriangeli. So che medita a livelli inimmaginabili per un meditatore della domenica e cosa fondamentale il Dalai Lama non si incazza mai perché pratica il distacco. Lui ha estirpato le emozioni distruttive, desiderio, illusione e rabbia e tanti saluti.

Io per il signor Tenzin, così si chiama il maestro, nutro una stima reverenziale, leggo i suoi libri, le sue risposte alle domande degli scienziati, seguo le notizie dei suoi viaggi, abbraccio la causa tibetana. Mi piace tutto. La manina che tiene la veste rossa sulla spalla mentre fa ciao con l'altra, i sorrisoni, gli occhiali, le mani giunte per ringraziare, tutte quelle cose da Lama insomma.
Poi però mi faccio delle domande, mi nasce l'assillo. Il 'cosa farebbe adesso il dalailama' è diventato una sorta di tic nervoso che spero di esorcizzare e liberare con questi post dal vago sapore psicanalitico. Si perché io mi sorprendo a sospettare malevolmente che il sopracitato conduca una vita un po' fuori dal gioco, senza tutti gli scazzi del nostro quotidiano e che ciò lo agevoli non poco nella professione di distaccato. E sempre malevolmente sospetto che se facessi per un po' la vita che fa il Dalai Lama mi potrei distaccare di qualche centimetro pure io. Però sono sempre sospetti malevoli e probabilmente dettati dall'invidia viscida di un attaccato come me.
Funziona così, si fa un elenco di casi concreti di scazzo, miei ma anche di possibili altri, e ci si cambia di posto con il signor Tenzin immaginandosi cosa farebbe lui. Alla lunga so che non reggerà e lo smaschererò.

Proviamo. Caso 1: esco per un servizio di 5 minuti, ci vado a piedi ma no prendo l'auto che tanto non è proprio ora di punta. Imbocco il viale del semaforo e rimango in un ingorgo apocalittico. Torsione innaturale del busto alla ricerca di una marcia indietro salvifica, inutile, tappato. Dopo 5 minuti quello davanti a me sconfitto spegne il motore e si accascia, lo faccio anch'io, è la fine di ogni cosa. Devo avvisare del ritardo, il telefonino è scarico e la presa accendisigari per attaccarlo ha il fusibile saltato. Inspirazione, espirazione, inspira, espira, conta fino a 10, pensa a chi sta peggio, i segregati i malati terminali etc. Dopo 25 minuti si riaccendono i motori e si avanza a millimetri, faccio tipo 500 metri a velocità verme. Arrivo finalmente sotto il semaforo che ha il rosso più lungo della storia dei semafori rossi e scopro la causa del disastro. Un suv ancora là, due donne dentro. Hanno bucato. Due vigili scrivono qualcosa, spero una condanna a morte. La tipa convinta di essere su una piazzola della A1 a 3 corsie aveva spento il motore, lasciato l'auto in mezzo alla carreggiata e, colpo di genio, si era anche preoccupata di piazzare placidamente il triangolo a 15 metri dietro, in un tratto del centro e in un orario che se cadesse una pioggia di particelle elementari, nessuna raggiungerebbe l'asfalto, solo lamiere e teste di lavavetri.
Abbatto uno stormo di santi classici, anche un paio di difficili come Emerenziano e Policarpo. Umilio divinità di ogni religione conosciuta, seguo la procedura, scazzotto il tetto e dirigo verso le due pilotesse ogni forma di insulto a sfondo sessuale e genealogico. In mezzo al raptus calante ecco il tic: cosa avrebbe fatto il Dalai Lama?

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