Questa frase, nei libri, nei film, mi ha segnato. Quando la voce narrante la dice, io automaticamente sono coinvolto, divento più triste di Fassino, posso piangere anche subito, perfino se fresco di zapping.
La benedetta 'voce narrante' è però uscita da tempo dalla finzione e mi perseguita. Chessò squilla il telefono, una vecchia zia che mi fa gli auguri, ciao zia come stai? Grazie, si, a tutti si, certo che ti vengo a trovare, tu prepara il liquorino con le mele, va bene? Ciao, si, ciao ciao. Riattacco e subito nelle orecchie arriva: 'Sentivo che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei parlato con la zia Rita..' Ultimamente si presenta anche con un accenno di pianoforte.
Oppure adesso che sono venuto a trovare i miei, mio padre prende dal frigo degli involtini di pesce che mia madre ha fatto nei favolosi anni '60 e se li scalda. Lo guardo mettersi la forchetta in bocca, giro le spalle e faccio per andarmene quando eccola: 'Sapevo che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei visto mio padre vivo', oppure: 'Sentivo che quello sarebbe stato l'ultimo pasto di mio padre'.
L'ultima oggi, il tipo che abita di fianco ai miei, tale Donato. Salgo da pisciare il cagnino, le porte dell'ascensore si schiudono sulla sua sagoma sorridente. Esco dalla cabina e lo lascio entrare, ci scambiamo auguri e veloci commenti sul tempo che fa, nei pressi di un ascensore è d'obbligo. Poi qualcuno dal basso reclama il veicolo e lui si affretta a congedarsi premendo T col polpastrello annerito. Le porte si chiudono lentamente, lui mi guarda con l'occhio spento, il sorriso forzato sotto il baffo imbiancato, le spalle curve sotto gli anni di fatica. Avrà sessant'anni, mai una malattia, una prospettiva di vita lunga e solida, ma la voce è spietata e parte lo stesso: 'Ecco, mentre le due porticine mi cancellavano gradualmente la sua immagine sapevo in cuor mio che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei visto Donato vivo' (pianoforte).
Quel 'vivo' alla fine della frase è drastico, potrebbe non esserci e lasciare spazio alla fantasia. Viaggi improvvisi senza ritorno, perdita della vista mia, ergastoli accidentali per scambi di identità, missing person, etc.
Ma evidentemente la voce preferisce chiudere la faccenda lì, come dargli torto nel caso di Donato.
Anche scrivendo di ricordi veri la voce spunta dalle penne, dalla tastiera.
'Ugo sparava i suoi razzetti nella notte di fine anno dal balcone della mansarda, con l'accento romanesco insegnava al figliolo come sistemare le rampine e le miccette. Per tanti trentuno era stato il nostro riferimento pirotecnico, noi lo guardavamo dalla mansarda più in alto della sua. Adesso non c'è più, è stato uno di quei morti di mezza età, uomini semplici, che ai funerali ci vanno in cinque sei. Salii con lui in ascensore un pomeriggio che fuori era parecchio freddo, s'era fatto crescere dei baffetti d'un altro secolo e portava un cappello ridicolo che gli copriva le orecchie pelose. Mi chiese se ero pronto a fare il tifo per la Roma la sera, io gli dissi che manco lo sapevo che giocava. Non immaginavo che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei visto Ugo vivo.'
La benedetta 'voce narrante' è però uscita da tempo dalla finzione e mi perseguita. Chessò squilla il telefono, una vecchia zia che mi fa gli auguri, ciao zia come stai? Grazie, si, a tutti si, certo che ti vengo a trovare, tu prepara il liquorino con le mele, va bene? Ciao, si, ciao ciao. Riattacco e subito nelle orecchie arriva: 'Sentivo che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei parlato con la zia Rita..' Ultimamente si presenta anche con un accenno di pianoforte.
Oppure adesso che sono venuto a trovare i miei, mio padre prende dal frigo degli involtini di pesce che mia madre ha fatto nei favolosi anni '60 e se li scalda. Lo guardo mettersi la forchetta in bocca, giro le spalle e faccio per andarmene quando eccola: 'Sapevo che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei visto mio padre vivo', oppure: 'Sentivo che quello sarebbe stato l'ultimo pasto di mio padre'.
L'ultima oggi, il tipo che abita di fianco ai miei, tale Donato. Salgo da pisciare il cagnino, le porte dell'ascensore si schiudono sulla sua sagoma sorridente. Esco dalla cabina e lo lascio entrare, ci scambiamo auguri e veloci commenti sul tempo che fa, nei pressi di un ascensore è d'obbligo. Poi qualcuno dal basso reclama il veicolo e lui si affretta a congedarsi premendo T col polpastrello annerito. Le porte si chiudono lentamente, lui mi guarda con l'occhio spento, il sorriso forzato sotto il baffo imbiancato, le spalle curve sotto gli anni di fatica. Avrà sessant'anni, mai una malattia, una prospettiva di vita lunga e solida, ma la voce è spietata e parte lo stesso: 'Ecco, mentre le due porticine mi cancellavano gradualmente la sua immagine sapevo in cuor mio che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei visto Donato vivo' (pianoforte).
Quel 'vivo' alla fine della frase è drastico, potrebbe non esserci e lasciare spazio alla fantasia. Viaggi improvvisi senza ritorno, perdita della vista mia, ergastoli accidentali per scambi di identità, missing person, etc.
Ma evidentemente la voce preferisce chiudere la faccenda lì, come dargli torto nel caso di Donato.

'Ugo sparava i suoi razzetti nella notte di fine anno dal balcone della mansarda, con l'accento romanesco insegnava al figliolo come sistemare le rampine e le miccette. Per tanti trentuno era stato il nostro riferimento pirotecnico, noi lo guardavamo dalla mansarda più in alto della sua. Adesso non c'è più, è stato uno di quei morti di mezza età, uomini semplici, che ai funerali ci vanno in cinque sei. Salii con lui in ascensore un pomeriggio che fuori era parecchio freddo, s'era fatto crescere dei baffetti d'un altro secolo e portava un cappello ridicolo che gli copriva le orecchie pelose. Mi chiese se ero pronto a fare il tifo per la Roma la sera, io gli dissi che manco lo sapevo che giocava. Non immaginavo che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei visto Ugo vivo.'