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Quelli che corrono dietro agli autobus

Sono quelli meno idonei alla corsa. Le signore chiatte con la borsa da una parte e il braccino dall'altra che si muove nell'aria come un cencio appeso e sbattuto dal vento. L'arto dovrebbe assecondare una serie di spostamenti del baricentro, ma il baricentro in quei corpi straziati da un moto dimenticato non c'è più, il braccino impazzisce. Gentlemen decrepiti che sottopongono le coscette ad improvvisi scatti, chiudono il culino e corrono tesi, come struzzi malati. Le ginocchia non si piegano, le gambe sono dure come stampelle. Gli autisti si divertono a vederli avvicinare disperati, pigiano il pulsante e gli chiudono in faccia le porte della speranza. Rimangono là, in affanno dissimulato, sempre più piccini nello specchione del bus.
Ultimo di questi sei tu, ciccione incappottato che eri sicuro di farcela stasera, là in piazza Malpighi. L'hai visto arrivare quel 21 maledetto, hai preso il resto dall'edicolante e sei partito. Contavi sul semaforo rosso, ma era verde. L'autista ha pigiato sul pedale e tu hai cominciato a capire. Hai spinto il panzone più avanti e più avanti ancora. Non volevi perdere una certa serietà e l'aplombe da distaccato dalle cose terrene. Poi qualcosa ha ceduto e hai preso a correre abbandonandoti al ridicolo. Hai liberato tutto il ricchione che avevi dentro, una corsa indecente ed effemminata verso la fermata irraggiungibile. Ma l'autista accanto a me era il più sadico dell'ATC e ti ha lasciato là, a marinare nella tua vergogna, a nasconderti dagli sguardi divertiti degli altri che aspettavano il 14.

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