
La nostra giovinezza politica cullata nelle occupazioni universitarie e maturata nelle federazioni giovanili dei partiti politici, si era interrotta bruscamente quando, nel teleschermo, Falcone e Borsellino c'erano scoppiati in faccia. E da quella scatola, l'esplosivo non avrebbe mai più cessato di scuoterci, maltrattando i nostri occhi, come l'11 settembre, quando il fuoco delle due torri avvolse, per sempre, le nostre passioni globali, tramutandole d'un tratto, in un pozzo nero di paure. Ma il disincanto non aveva ancora del tutto colonizzato le nostre menti e credevamo che una qualche forma di riscatto potesse avvenire, continuando a operare nella cultura.
Molti di noi partirono e andarono irrimediabilmente all'estero, dove il talento non tardò ad aprire la strada del destino per entrare presto in un mercato del lavoro ansioso di accogliere la creatività.
Io e tanti altri restammo, pur tra le molteplici sollecitazioni ad abbandonare Napoli.
Il consiglio mi era stato esposto in più di un'occasione. La domanda fatidica suonava così:


(Napoli Bene - Salotti, clienti e intellettuali nella capitale del Mezzogiorno - Lucio Iaccarino)
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